lunedì 2 dicembre 2013

Lettera aperta, da Sean Foster.

A tutti voi,
lettori e visitatori.

Nuovamente mi trovo qui a scrivervi di mie notizie, dopo diverso tempo di attesa, nuovamente mi trovo in condizioni ostiche per scrivere e nuovamente sono alla ricerca di una via d'uscita dall'oppressione di una mente sempre meno sgombra.
I miei lavori proseguono in maniera frenetica e come tale scrivere diventa sempre più difficile, ma questo non è che l'inizio in quanto prevedo che tempi ardui dovranno ancora venire.

A chiunque abbia o stia apprezzando le mie storie vorrei dire questo:
sto producendo nuove opere, tra racconti, sceneggiature e romanzi, che spero di poter rendere pubbliche nel minor lasso di tempo possibile. Continuo a collaborare con la rivista " storie bizzarre" che tengo a ringraziare ex novo ed entro breve dovrei iniziare a scrivere anche su venti narrativi ( http://www.ventinarrativi.blogspot.it/ ) blog che seguo, tempo permettendo, e permeato di creatività appartenente ai molti nuovi scrittori che ho avuto l'onore di conoscere.

Entro breve conto di riuscire a pubblicare la mia prima raccolta di racconti che, per dare un piccolo quanto veloce anticipo, raccoglierà testi già mostrati e determinati inediti che sono ansioso di diffondere nonostante non tutti siano effettivi racconti brevi...
Per chi stesse cercando il seguito dello scritto " il tessitore dal cappello a tesa larga " prego di scrivermi attraverso la sezione "contatti" in quanto non avendo molto tempo a disposizione devo scegliere bene ciò su cui lavorare; se riceverò un numero adatto di richieste terminerò di scrivere la parte 4 e la parte 5 per poi pubblicarla, includendo i richiedenti nei ringraziamenti.

Questo, per ora, è quanto...
Varcherò presto la porta del mio studio per riflettere su quel foglio bianco che da troppo tempo mi ossessiona e, se riuscirò, svilupperò la sezione news di questo blog.

Ringrazio ancora tutti i lettori che continuano a seguirmi e tutti coloro che hanno provato emozioni nei confronti di ciò che ho scritto; se il mio mondo prende vita è solo grazie a voi.

I miei migliori auguri di buona fortuna ed a presto.
Prima di quanto possiate immaginare.

Sean Foster.

venerdì 23 agosto 2013

Il paradosso della porta e della cornacchia.


Esistono molti fenomeni strani ed apparentemente irrazionali all'interno del nostro mondo. Molti di questi quando troppo complessi vengono ignorati o spiegati grazie a teorie paranormali che andranno a formare nuove sconclusionate correnti di pensiero, le quali, dopo anni di tentato ed erroneo approccio al metodo scientifico, cambieranno irrimediabilmente in modo da formare un nuovo postulato in grado di conciliarsi con l'ineffabile capacità d'errore umano.
Ovviamente non c'è nulla di male in tutto ciò, l'umano è sempre stato propenso ad accogliere qualsiasi tipo di teoria a patto che un giorno potesse essere contraddetta; magari davanti ad un pubblico, possibilmente in maniera abbastanza plateale, forse anche davanti ad un microfono ed ai giornali od al ricevimento per l'assegnazione del premio nobel, perché no?
Fatto vuole che il desiderio di conoscenza personale porta l'uomo, o donna o scoiattolo, a ricercare sempre più la perfezione lasciando che i termini vedere e guardare assumano lo stesso significato nell'immediato attimo, quasi sovrapponendo ad ognuno lo stato dell'altro. Certo è che per dire una cosa del genere bisognerebbe supporre che sia vedere che guardare siano delle entità corpuscolari uguali ed opposte, come anche allo stesso tempo sovrapposte.
Stabiliamo il significato di vedere, dove si è concentrati nell'osservare un particolare od uno stato di un dato "qualcosa", e di guardare, dove l'argomento viene affrontato a livello più globale e quindi macroscopico.
Ipotizzeremo per un istante che vedere e guardare non siano in realtà altro che la stessa medesima entità ottenuta tramite la fissione dell'osservare, o che più semplicemente le due entità primarie abbiano interagito l'una con l'altra provocando un grandissimo interesse nei confronti di un oggetto, o di una persona o di uno scoiattolo, provocando così un fenomeno simile ad un entanglement quantistico. Prima di essere chiamate in causa tali entità bisognerebbe considerare anche che osservare sia in realtà guardare e vedere allo stesso tempo, ovvero che guardare e vedere non siano altro che due stati sovrapposti dell'entità osservare finché uno dei due stati non verrà chiamato in causa con la semplice constatazione dello stesso: "sto guardando" o "sto vedendo" sancendo così un particolare stato dell'essere in questione, tanto per continuare un esempio grossolano.
Ne consegue che quando lo spettatore sceglierà di guardare qualcosa, la sua attenzione non potrà in alcuna maniera vedere qualcos'altro, ammesso e non concesso che un'interazione con l'esterno possa permettergli di agire in tale maniera, ma sostituendo lo status precedente.
Tali cambiamenti e stati, seppur in maniera assolutamente diversa, possono essere ipotizzati a livello sub-atomico e microscopico dove, con le adeguate attrezzature, si osserverebbero svariati comportamenti atti ad affermare tale teoria chiamata "decoerenza quantistica" dove si andrebbe ad annotare che l'interazione tra loro delle singole particelle annullerebbe le proprietà quantistiche tipiche delle stesse, ossia i differenti stati.
Il dilemma consiste nel fatto che dal momento in cui tali fenomeni vengono osservati, o registrati o scoiattolo, a livello macroscopico si ricade immediatamente all'interno della meccanica classica uscendo dalla quantistica.
Un esempio ben noto del funzionamento di tale conseguenza è stato definito dal paradosso di Schrödinger, anche detto paradosso del gatto di Schrödinger, abbastanza conosciuto in tutto il globo terrestre.
In maniera esagerata, molto ironica e ben chiara, il fisico e matematico Erwin ci spiega la questione dicendo che rinchiudendo un gatto in una scatola d'acciaio insieme ad un particolare marchingegno, che non potrà essere raggiunto dal felino, ed insieme ad un contatore Geiger contenente una minuscola quantità di materiale radioattivo, così poca da poter ipotizzare che forse, nel giro di un'ora, uno degli atomi di tale materiale potrebbe disintegrarsi, il gatto risulterebbe sia vivo che morto allo stesso tempo.
In effetti bisognerebbe anche dire che il contatore dovrebbe essere collegato ad un martelletto in maniera tale che se il dispositivo rilevasse l'avvenuto evento di disintegrazione dell'atomo, o scoiattolo, la fiala di cianuro posta sotto la mazzetta verrebbe spaccata rilasciando così i suoi mortali influssi poco magici e molto chimici. In sostanza, dopo circa un'ora in cui il gatto dovrebbe restare rinchiuso all'interno della scatola potremmo affermare che l'animale sarebbe sia vivo che morto allo stesso tempo, formando un ulteriore stato tra la vita e la morte che in alcun caso potrebbe essere dimostrato se non grazie alla meccanica classica che tuttavia darebbe per effettiva solo una delle due condizioni. Infatti, osservando il gatto ed aprendo la scatola, si andrebbe ad interagire con l'evento sancendo quindi uno dei due status come per vero ed eliminando la sovrapposizione dei precedenti stati a causa di uno stato chiamato entanglement quantistico ( dove l'interazione impedisce la molteplicità di una condizione ) .
In un certo tal modo è come se le particelle che ci compongono perdessero la propria identità una volta analizzati all'interno di un sistema macroscopico, ovvero noi.
Se oltre a questo vogliamo considerare addirittura i vari tipi di teoria delle stringhe e le svariate teorie postulate sui multiversi non ci risulterebbe poi così complesso capire come mai vedere e guardare siano in realtà eventi paralleli che potrebbero accadere nello stesso dato momento, in luoghi differenti ed uguali, scatenando a loro volta un'infinita serie di probabilità che porterebbero a risultati N volte diversi in N universi o dimensioni.
Il ragazzo chiuse il libro di fisica con la rassegnazione di chi, dopo aver sparato dieci volte allo stesso barattolo, si rende conto di aver finito il caricatore e lascia cadere la pistola sul tavolo con fare frustrato - Non ci capisco niente! - Tolse la maglia da rugby bianca e blu con un solo gesto delle mani, facendola scorrere velocemente sul suo torace.
Eppure non è un concetto complesso: non c'è niente che si possa dire non essere, finché non osservato in differenti stati allo stesso CRA!
- Vattene! - La matita volò dalle pallide mani del giovane fino al margine superiore della porta finestra che dava verso il balcone, battendo tristemente contro il legno e cadendo sul parquet chiaro sotto lo sguardo perplesso, e forse un poco tonto, dello scuro volatile che sostava lì come fosse a casa sua.
In effetti sarebbe stata intenzione dello studente colpire proprio la gracchiante, e sicuramente di cattivo auspicio per gli esami di fisica, cornacchia che stava sul bordo della piccola finestrella sopra l'uscio dando le piume verso suddetto balcone e mondo esterno, ma non era mai stato bravo nei lanci brevi. Piegò con cura la benda per gli occhi in caso di fortissima emicrania. Portò le mani sopra la testa e quasi si chiuse a riccio poggiando il volto contro il duro piano del tavolo, occhi chiusi e musica che percorreva i filamenti di rame delle cuffie bianche irradiando i timpani con note e radiazioni come un fiume in piena porta acqua e fango allo stesso tempo.
La cornacchia sospirò, esasperata e con la fredda consapevolezza che il ragazzo avrebbe avuto le stesse probabilità di superare i suoi esami che lei di realizzare un acceleratore di particelle senza l'ausilio di un pollice opponibile.
Era la quarta volta che provava a spiegare quella parte della fisica quantistica utilizzando ogni volta una metafora diversa, ma il giovane testardo sembrava avere la testa su qualche pianeta dove la fisica equivale ad un enorme e complesso ipercubo di Rubik, e dove in realtà non serve per spiegare ciò che ci circonda ma per complicarlo. E poi c'era quel maledetto scoiattolo che continuava a fissarla dal giardino al pian terreno, mettendola in soggezione ed allo stesso tempo facendole quasi venire fame con la distrazione che normalmente ne conseguirebbe; ogni volta che si accorgeva dei suoi sguardi doveva fargli notare che l'aveva visto altrimenti l'animale avrebbe continuato.
Strane creature gli scoiattoli, hanno sempre voglia di divertirsi a modo loro e sono talmente orgogliosi che in caso di rifiuto sgancerebbero del napalm sul tuo nidCRA!
-Oddio, sta zitta! - Il ragazzo si strinse le cuffie alle orecchie - Vattene! - agitando le braccia all'aria come se stesse segnalando ad un aereo la sua presenza e smuovendo polvere intorno a lui. La cornacchia girò la testa verso il cielo ed osservò per qualche istante, decise di vedere ma non vide alcun aereo per cui gli sembrò abbastanza giusto alzarsi in volo, allontanandosi dalla visuale di quel pazzo convinto di essere su una pista d'atterraggio, per poggiarsi sul parapetto dell'altra finestra protetta da una tenda opaca accostata sul mondo, al lato sinistro della porta.
- Stupida cornacchia... - Rise quello con voce cavernosa degna della sua massa alzando il collo per guardare fuori dalla finestrella sopra la porta - mi chiedo quale scopo possiate avere, stupidi come siete voi uccelli. - Scostò la sedia con un fare abbastanza perentorio che avrebbe impedito al seggio, in una vicina dimensione, di ribellarsi per scegliere democraticamente di essere lei, stavolta, a sedersi. Poggiando la testa sul tavolo tornò ad ascoltare il suo fracasso ed a scribacchiare formule sbagliate su quello che doveva essere uno scontrino che aveva preso la funzione di segnalibro per il voluminoso trattato di fisica.
- Non è che non abbia potenzialità, ritengo, semplicemente che non sia nel giusto contesto sociale per poter esprimere al meglio il suo... potenziale - Disse la porta con il tono di chi, dopo aver esaminato a lungo un animale in gabbia, assegna con dubbio un mediocre quoziente intellettivo alla bestia nel timore di aver arrotondato troppo per eccesso.
- CRISTO! - L'alunno si alzò un'altra volta e chiuse la portafinestra che in balia delle correnti ventose stava cigolando rumorosamente, stonando come unghie sulla lavagna nella tranquillità e pace della sua musica speed metal.
Aveva bisogno di pace e concentrazione, aveva una forte emicrania e quindi non poteva alzare il volume del suo dispositivo al massimo consentito ma aveva un forte bisogno di sfogarsi, almeno con la musica, e quel cigolio aveva costituito un'enorme interferenza nel suo tempio zen fatto di doppie casse e distorsori collegati a chitarre collegate ad amplificatori da 110 watt.
Facendo uno sforzo alzò un pochettino il volume e, sopprimendo l'istinto di prendere la mazza da baseball e picchiare duramente le pareti del dipartimento di fisica, si lasciò cadere stancamente sul letto riflettendo sul significato di "quanto d'energia" cercando di paragonarlo a qualcosa di familiare, come l'energia che trattiene una palla da rugby quando viene lanciata.
I suoi genitori erano fuori casa, per cui anche se avesse ragionato da solo e ad alta voce nessuno gli avrebbe mai dato del pazzo.
- Credimi, è pazzo. - Disse la cornacchia da dietro la tenda facendo cautamente capolino all'interno della stanza - è da questo primo pomeriggio che prova a capire concetti abbastanza basilari continuando ad ignorare le mie spiegazioni ed a parlare da solo. -
- è normale, sei una cornacchia. -
- e quindi? -
- Si sa che la fisica è più una cosa da gufi. -
Le palpebre della cornacchia si assottigliarono ai lati dandole un'espressione quasi umana - Che c'entrano i gufi con il ragazzo? -
La porta scricchiolò lasciando che le sue assi si assestassero ognuna sul proprio baricentro - è solamente un po' confuso, bisogna prendere in considerazione molti fattori che compongono la maniera in cui si relaziona alla società ed alla fisica. - La maniglia d'ottone rifletteva un mondo completamente nero, all'interno della stanza non c'era niente se non la finestrella dove poggiava la cornacchia, quattro pareti che avrebbero avuto molto da dire sulla vita sociale del giovane e la porta. C'erano delle sorgenti luminose che corrispondevano perfettamente alla posizione del sole, ma nulla di visibile ad occhio nudo che fosse contemplato dalle leggi della meccanica quantistica. Di fatti la luce c'era e non c'era allo stesso tempo.
- Il fatto è che essendo suo padre stato precedentemente un matematico, il ragazzo si sente in ovvia soggezione nei confronti di una materia che, ovviamente, involve l'opinione del genitore il quale, come conseguenza alla sua carenza d'affetto in gioventù e la mancata affermazione nel mondo del lavoro, tenterà in ogni maniera di perfezionare il lavoro del figlio arrivando a far risultare il suo lavoro totalmente errato e superfluo agli occhi di una figura paterna che, oltre a pretendere la perfezione, spronerà il ragazzo a fare contro la propria volontà sempre il meglio. -
La cornacchia sbatté le ali perplessa - E questo sarebbe un male? -
Gneeeeeeeeeeeeeek
- George, noi siamo tornati - Disse la donna bionda che aveva appena spalancato l'uscio invadendo, inconsapevolmente, lo spazio vitale del giovane fisico represso - Se ti serve qual... -
- Si, si! Sto studiando! - Serrò le mani e si portò il sottile cuscino sulla faccia facendolo sprofondare sulle sue forme come un telo di velluto su un castello di sabbia. Alzò il volume del lettore musicale ed utilizzando una rinomata tecnica, spesso studiata in fenomeni sociologici equivalenti, che consisteva nel fingere la morte apparente insieme ad un totale disinteresse nei confronti di ciò che accadeva nel mondo esterno, si girò dall'altra parte finché la madre non chiuse la porta scuotendo la testa.
- Sì, se consideriamo che il ragazzo non è ancora riuscito ad ottenere l'approvazione di una delle figure più importanti della sua vita. Le possibilità qualche mese fa sarebbero state due: o l'annichilimento della personalità del ragazzo nei confronti di una materia che gli avrebbe per sempre ricordato il suo fallimento nei confronti di una persona che avrebbe voluto soddisfare, con il conseguente rifiuto del soggetto in questione nei confronti della fisica, o l'annichilimento del padre che, avendo studiato fisica per anni e non essendo mai riuscito ad andare oltre al semplice professore liceale, non avrebbe accettato i successi del figlio e lo avrebbe spinto sempre oltre... riportandoci così all'ipotesi precedente. -
La cornacchia guardo la porta inclinando ripetutamente la testa e muovendo il suo piumaggio su e giù quasi avesse voluto gracchiare più volte, in realtà stava solo cercando di esprimere il suo pensiero. Bisogna sempre considerare che le dimensioni del cervello di un corvo non sono quelle di un umano, e come anche la porta aveva impiegato più di venti anni per apprendere quello che sapeva, altri cinque le erano occorsi per riflette e sviluppare il concetto di parola.
- Quindi suggerisci che il ragazzo non avrebbe mai potuto in alcun modo imparare la fisica?- Si era stranito il volatile.
- Beh, no... avrebbe potuto ignorare e rifiutare il padre, invece della materia, come avrebbe potuto essere un po' più paziente nei confronti di un uomo anziano e tentare così di conciliare i loro due cervelli in un'unica grande entità che, probabilmente, avrebbe potuto combinare qualcosa nel mondo della fisica. - Trasse quello che sarebbe dovuto essere un profondo respiro e che in realtà, nel buio profondo del nulla della stanza, si mostrò come se le assi di legno si fossero improvvisamente impregnate d'acqua per poi riasciugarsi
- Ovviamente avrebbero anche potuto semplicemente lasciare le proprie vite indipendentemente separate sulle strade della materia, ma per una cosa del genere la madre del ragazzo non avrebbe dovuto intromettersi... -
Ci fu un momento di silenzio che parve quasi imbarazzato se non si fosse trattato effettivamente di una cornacchia ed una porta, in effetti bisognerebbe anche considerare che in quel momento nessuno li stava osservando e per questa ragione ci fu un momento di silenzio, che pareva assolutamente d'imbarazzo - Già... un bel dilemma. Ogni tanto gli umani sembrano avere le orecchie foderate di piume. - Gracchiò quella mentre l'umano si rigirava sul lato destro del letto, inerme davanti alle invitanti proposte di Morfeo ed impavido davanti alla possibilità che al risveglio avrebbe dovuto studiare.
- In realtà ritengo sia semplicemente difficile che si accorgano della nostra presenza. - La serratura scattò come un pensieroso schiocco sulla lingua
- Vedi, più volte al giorno, da tantissimi anni, vengo aperta e richiusa senza che mai nessuno si preoccupi anche solo di ringraziarmi per aver protetto la sua proprietà da agenti esterni. Questo chiaramente decodifica l'enorme egocentrismo cui è preda la razza umana, se non per poche eccezioni che raramente agiscono per unico fine di benessere altrui, che chiaramente non vuol ascoltare ciò che invece passa come semplice rumore di sottofondo, white noise, in altre parole: noi. -
Il volatile si guardò indietro come scosso da un brivido paragonabile alla manifestazione fisica di un'epifania, fece un saltello sull'altro lato della finestra e poi volò nuovamente sopra la porta ma con maggiore circospezione.
Da sotto il balcone un gatto rossiccio la stava guardando - Non mi interessa cosa pensi, io ti mangerò. - Disse leccandosi i lunghi baffi.
Secondo l'entanglement quantistico e considerando le leggi della stessa meccanica quantistica, un dato qualcosa cessa di esistere in un dualismo e diventa definitivo, interpretabile come coerente dalla meccanica classica, nel momento stesso in cui gli stati del tale qualcosa interagiscono tra loro. Certo, questo non spiegherebbe comunque perché il gatto vedesse un passerotto al posto di una cornacchia, ma ci permetterebbe di comprendere meglio che, se il gatto fosse effettivamente stato in un ambiente chiuso ed isolato da fattori d'influenza esterni, la sua coda sarebbe certamente uscita incolume dai temibili ed iniqui denti dello scoiattolo che lo avrebbe azzannato pochi istanti dopo, in quanto all'esterno della scatola tale roditore non sarebbe esistito se visto dal punto di vista del felino.
MEOW!
- ZITTI! - Urlò il giovane mentre sentiva il suo gatto, spiritosamente chiamato fenice con la fantasia di un uomo in stato di coma vegetativo, soffiare contro un qualcosa e gettarsi in dei cespugli.
- Non bisognerebbe mai inimicarsi uno scoiattolo... - La cornacchia saltellò girandosi nuovamente verso l'interno della stanza buia e vuota - Lo sai cosa mi sono sempre chiesta? -
La porta cigolò un no e scricchiolò un sarei curiosa di saperlo.
- Esistono molte dimensioni ed in alcuna di queste l'umano è ancora riuscito a prendere coscienza, nonostante continui a cercarle con grandissima avidità. -
- In realtà l'umano ne ha preso coscienza molto tempo fa, da allora la sua continua lotta per migliorare se stesso sta portando a grandissimi risultati che, in un dato futuro, potrebbero portarlo ad una comprensione globale dell'essere in ogni sistema conosciuto... ma non voglio interromperti, vai avanti. - Il battiscopa si assestò con quello che, se qualcuno lo avesse sentito, sarebbe parso un Clak.
Il predatore chinò il capo in segno di ringraziamento - Quello che mi chiedo è: dove sono i confini che l'uomo continua a spostare sempre più avanti? Ma sopratutto, com'è possibile che non riescano a capire quello che dico nonostante ogni mattina io sia li ad urlare che dovrebbero fare un po' più di silenzio? -
La maniglia annuì - Un bel dilemma... Direi che si tratta del semplice discorso sentire/ascoltare dove non gli interessa ascoltare in quanto non hai mai neanche solo pensato di non sapere come farlo. Il tutto potrebbe essere ricondotto ad uno stato emotivo che comporterebbe un talmente grande senso di inferiorità, ovviamente nei confronti di un qualcosa di talmente grande come la natura che ci circonda, che scoprire di aver ragione nel pensar di essere insignificanti, quanto loro chiamano insignificanti i lucidi senza silicone, farebbe si che li vedremmo terrorizzati più di qualsiasi altra cosa. -
La cornacchia balzò sulle mattonelle squadrate, decorate con intrecci floreali più vistosi di una villa rinascimentale, del balcone e si avvicinò alla porta
- Percepisco forse dell'astio nei confronti di un prodotto non idoneo alle tue aspettative di pulizia? - Osò con la curiosità di... uno scoiattolo.
- Già, mi dispiace. Sto facendo il possibile per superare il trauma, ma la psicologia applicata a me stessa risulta complessa... sono intrattabile e dura come il legno. -
- Dove hai imparato? -
- Prima di questa famiglia ho vissuto per vent'anni, sempre qui ovviamente, con il signor Edgar Connor. - la serratura cigolò - Un noto psicologo di un tempo oramai giunto, passato e presto responsabile del futuro. -
- Perché all'interno di questa dimensione gli umani non sono? - La domanda arrivò come una martellata sul ginocchio di un dormiente, sgradevole e maledettamente inopportuna.
- Che intendi? - Se una porta avesse potuto balbettare, lei lo avrebbe fatto, e con molto imbarazzo, anche.
Il volatile increspò il piumaggio sul dorso e si scrollò da una pioggerella passeggera -Noi siamo qui in questo dato momento, e loro sono lì in questo dato momento. Siamo entrambi nello stesso punto, stesso spazio e stesso tempo, ma allo stesso tempo siamo distanti più di quanto non potremmo mai essere vicini... perché gli umani non lo capiscono? -
Nuovamente silenzio.
- Non ne ho idea, sarebbe un paradosso, ma dalla tua domanda posso dirti che sicuramente hai avuto un forte calo di attenzioni in famiglia dati dal fatto che ti ritenevi, probabilmente, l'unico genio del nido. -
Silenzio.
- Ho volato per prima, era mio diritto. - Sbottò aprendo le ali - e comunque sia
sono certa che ci sia un modo per collegare entrambe le cose. -
La porta rise aprendosi e chiudendosi più volte al soffiare di una forte corrente d'aria - Non potrebbe essere altro che un paradosso. Pensaci, gli umani sono di la, come potrebbero essere allo stesso tempo di qua? -
Le zampette della cornacchia si mossero velocemente su e giù trasportando la massa del pensieroso animale - Non potrebbero, ma allo stesso tempo non avrebbe avuto senso parlare a quel ragazzo se non fossi stata certa che mi avrebbe ascoltato. Per noi è normale finire qui, dove ovviamente il qui cambia a seconda dello spazio in cui siamo, ma per gli umani esiste solo un qui dove se inceppiamo anche noi nello stesso istante finiremmo per condividere uno status comune di esistenza... come annullandoci. - Rifletté un ulteriore momento lasciando che il suo becco la aiutasse a bere da una pozzanghera appena formatasi sulla pavimentazione del balcone- Guarda gatti e cani, con loro gli umani sembrano perdere l'intelligenza. -
- è un paradosso. - Sancì la porta - Non possiamo coesistere allo stesso tempo annullandoci reciprocamente per costruire una nuova realtà, questo dovrebbe prevedere un infinita varietà di spazi in cui le differenti realtà potrebbero continuare e variare a seconda del modo in cui si svolgono gli eventi. -
Un tuono risuonò lontano macchiando il nero di chiazze grigie che si espansero nel vuoto come macchie d'olio superficiali su di una sfera d'acqua.
- Un paradosso! - Rimbombò la porta chiudendosi in definitiva con un sonoro colpo.
CRA!
- Che stai facendo? - Una giovane bionda dalla suadente forma slanciata ed incredibilmente attraente varcò l'uscio chiudendoselo alle spalle. Il ragazzo aprì un occhio e si girò, notando dal basso verso l'alto degli stivali impermeabili, delle calze a trama fitta, una corta gonna in jeans, un ventre scolpito e scoperto, una seconda di seno ricoperta da una camicia di jeans ed infine il volto della sua ragazza.
- Jenna... - Si mise seduto sul materasso stirando i muscoli indolenziti del suo corpo - Non ti aspettavo a quest... -
CRA!
- Maledetta cornacchia del diavolo! - La ciabatta stavolta sfiorò di poco il volatile che , probabilmente spaventato, si lanciò in volo verso l'esterno gracchiando all'aria - è impossibile studiare con questi cosi intorno! - Si girò verso la bella allargando le braccia con stupore ed evidenziando i nudi muscoli del petto che apparivano ancora più gonfi,se considerati in base all'ombra proiettata dal ragazzo, generata dalla lampada da sala che aveva in camera. Lei lo guardò maliziosa e passò la lingua sul labbro inferiore - è strano effettivamente che una cornacchia si sia posata sulla tua finestra... - Ci rifletté alzando i grandi occhi verdi da cerbiatta - Magari vuol dire qualcosa, magari voleva aiutarti... -
- Una cornacchia? - La risposta fu immediata a tal punto da risultare quasi fastidiosa, il ragazzo rise un'unica volta con schiettezza e scetticismo - Non essere ridicola, avrà pensato che una delle mie matite fosse un verme... -
Lei abbassò lo sguardo verso il libro di fisica - Certo... - Assentì con la mente da un'altra parte mentre uno scoiattolo carinissimo sembrava guardarla dal bordo della finestra. Si avvicinò al ragazzo con passo studiato mentre il sorriso sulla faccia del giovane si allargava sempre di più arrivando quasi a sembrare un grande spacco nella terra in un grande deserto - Che dici... - Si abbassò la spallina della camicia e prese dal tavolo- Vuoi una mano per dimostrare una piacevole alternativa del paradosso di Schrödinger? -
Il giovane rise in previsione di ciò che sarebbe accaduto - Certo che si. -
- Però sarebbe stato assurdo se quella cornacchia fosse stata qui per un motivo... - Continuando ad avanzare ed arrivando al contatto.
Lui le abbassò l'altra spallina - Non essere ridicola.- La strinse a se
- Sarebbe un paradosso. -


Fine.

lunedì 10 giugno 2013

Il sogno, il carro ed il giglio.

Al lettor due parole vorrei dire,
pria ancor che l'evento abbia inizio.
Di non ricercar un senso obbiettivo
a ciò che al sol racconto è votivo.

Di fatti il sogno ha sovente l'ardire
di celare ciò che già è fittizio,
e sta a chi legge esser volitivo
se apprender vuol ciò che da morfeo è nativo.

A ciò io da ora mi appiglio,
a narrar del sogno, il carro, ed il giglio.
Nonostante il fine di tutto questo,
vorrei subito tener a chiarire,
possa parer mera emozione

ben differente è la mia sensazione.
In quanto, per come possa apparire,
non tutto mira ad un unico testo.






Da solo, quasi eremo, rivangando il ricordo del colloquio male andato,
viaggiava egli sulla strada cercando lo stratagemma per incantare il passato. Con fermezza e calma, passo dopo passo, meditando su ciò che venne detto - Vai e ripresentati maggiormente informato. - Avea con rammarico egli rammentato, occhi bassi non per mestizia ma per cercare un senso all'astuzia con cui fortemente il giudice lo aveva ingannato.
Reato forse è questo? Sognare il passato intaccando la storia, riscrivendo ciò che prima fu odiato testo. Denunziato, accusato ed incriminato per ciò che dell'umano è errore, di non voler accettare le infinite realtà ch'ello sa apprezzare come buon liquore; la sensazione di poter ricominciare in un'idea scandita come terra, terrorizza, alletta ed atterra.
Continuando a percorrere la strada in andata agognata, or cupo senso d'insoddisfazione, fermatosi dinanzi al cavalcavia la donna vide da carro meccanico scendere, donna a lui affezionata.
Il ricordo di ciò che era oramai passato non andò allo svanire, ben sì fu rintanato, ricoverato, in una parte della mente dove altro non poté che imbrunire; consumandosi come mero evento di un altro passo condotto da del caso l'evento.
Occhi profondi, verdi quanto le selve più lucenti, che sembrassero volessero con pensiero far dire " Strane sensazioni m'infondi" ma miti e romiti, non lasciando intuire le intenzioni di mille e mille tenzoni fini a nella sua stima il salire. Non fu lei, non fu lui, entrambi presero scena a quel primo atto che non sapevano quando si sarebbe concluso. Da trascorso breve, allo stesso tempo immemore e precluso, non avevano questi avuto occasione d'incontrarsi o d'ascoltarsi per vie avverse, indicazioni diverse, percorso parallelo e privo di tangente. Il principio fu scomodo, solo scuse e rancori avrebbero poter posseduto la testa risultando in un avvio di solo incomodo. Per questo venne saltato, il cuore ha sempre la prevalenza su ciò che è stato e se altrimenti non fosse dell'umanità il destino già sarebbe stato segnato.
Aprendosi le braccia d'entrambi, i di lei scuri capelli mossi ondeggiando al vento contrastando la lunar pelle cinerea solcata dalle molte caligini, come leggiadra neve su terso cielo, notando degli sguardi i forbiti scambi. Non ci fu tempo per verbo, l'abbraccio fu forte, stretto in una morsa ignota ad il tempo ma conosciuta ad i tanti sensi ch'egli avea agognato sognando la dipartita della barriera forte, ch'allo stesso tempo aveva trattenuto uno sconosciuto fato in grembo. Ciò era anche stato l'apice dei lor incontri, facondi, loquaci attimi, minuti, notti, tramonti ed albe di silenzio in cui gli unici testi dipinti erano nei firmamenti, attraenti quanto il verde dell'assenzio. Il vento debole sussurrava la nostalgia di proibite parole "portami via" mentre il fogliame s'alzava leggero, fluente in spirali di dolce follia avvolgendo gli erranti difronte ad un cielo albeggero.
Fu improvviso, inatteso, forse remotamente anelato ma in alcun modo risultò molesto: un bacio su labbra, con dolcezza accennato, onde rappresentar la mancanza che lo scorrer del tempo avea portato.
- è sconveniente, e forse non avreste dovuto. - D'ella le parole uscirono con comprensione, non vi fu rifiuto ma nemmeno unione.
- è vero, madame, ma ora è vissuto. Non fa parte del presente e voi stessa mi siete venuta incontro... - Le mani d'entrambi, con ardor incrociate le dita nelle di lei le sue e caldo il tatto nelle di lui per lei - Per dirvi che ho sentito la vostra mancanza, più d'ogni altra rimembranza. -
Di lei il sorriso illuminò l'alba, come forza sconosciuta che a nuove vite da sorte, non sentì il bisogno di parlare ma annuendo diede conferma ch'altrettanto per lei l'esperienza fu forte.
Alle spalle di lui, davanti i fulgidi occhi di lei, un lungo carro in legno trainato non da cavalli ma da sol cocchiere sostava inerme, lasciando dalla porta accostata l'ingresso intravedere.
- Sarei lieta e ben felice, Sir, di poter entrare con voi andando a svolgere il mio mestiere. Potremmo tenerci compagnia, stare insieme ed allietare il presente con il reciproco vedere. - Nel proferire, le sue labbra vellutate si mossero con finezza, non distraendo ma completando il senso di conforto che la sua presenza gli aveva portato.
- Sarò lieto di seguirvi, lasciando indietro ciò che l'onor mi ha trapassato. -
Salendo questi le scale del carro, mani non più congiunte ma corpi sufficientemente vicini da poter trarre conforto dal rispettivo calore, ignari e consapevoli allo stesso tempo varcarono l'accesso accedendo ad un luogo ch'egli avrebbe pensato come meno complesso.
Lungo ed elegante, molto più di quanto all'esterno si potesse pensare, era quello un carro con ristoro interno, tavoli, ospiti ed avventori coperti come fossero stati in inverno; lunghe sciarpe ad addobbo, bianche camicie ricamate ed un unico cameriere con folti baffi ad osservare l'eterno.
In lunghezza, lo strambo carro, superava i dieci metri ed in larghezza raggiungeva i quattro, c'era seggio a sufficienza per molte persone ma all'interno non sventolava stendardo o tabarro, come fosse luogo di nessuno ogn'ospite faceva i suoi affari. Seppur sembrasse che tutti fossero in attesa di qualcosa, un evento, un importante accadimento o qualcosa alla pari.
- Dove siamo? non riconosco questo luogo, e non parlo io ma la mia ragione che, lo ammetto, stenta a suggerirmi la valenza di questa costruzione. - Egli guardandosi intorno, più curioso che esterrefatto, notava con interesse come un particolare uomo gli risultasse familiare sia a vista ed olfatto, ciò avvenne nonostante l'ovviare dell'interesse ch'era bensì concentrato su mappamondi, specchi, scacciapensieri, quadri e pergamene incorniciate con la valenza d'un importante atto.
- Questo luogo è il mio lavoro, la mia quiete e la mia magione - Spiegò ella riflettendolo nelle umide iridi - Non siate affranto, confuso od altro, prendete seggio e conversiamo del silenzio. Ammiriamo lo scorrere dell'inesistente tempo ed allietiamoci con la vista di ciò che occhio distorce illudendoci. - Ciò detto ella si sedette, avendo precauzione di indicare al suo ospite la locazione nello stesso tavolo dove poggiava lei ed un uomo con lucidi capelli di lozione. Egli lo riconobbe e rimase basito, vedendo quell'uomo che pochi minuti prima avrebbe voluto saper esser sparito.
- Ordunque questo è il luogo dove voi venite, noncurante di come contro la cultura vi accanite? - Aveva detto, accusato, fomentando il fuoco da cui l'altro era stato bruciato. La donna non diede cenno, non mostrò titubanza ed il di lei inebriante profumo diede forza all'altro per non accennar rimostranza.
- Vedete, ospite di questo carro... - Si rivolse l'altro all'uomo che precedentemente l'avea giudicato - Se chiamate voi sapienza l'esser schiavo di un comando, od apprender solo ciò da chi detta ed è stato nominato dall'incaricato, allora io temo per i vostri figli ed il vostro fato.
In quanto sono certo che mai prima di me avete sentito le parole che ho chiamato. -
L'altro sgranando gli occhi s'era ammutolito, rigido come morte ma sciente di ciò ch'il ragazzo avea demolito... duro come ferro era infatti stato il giudizio cui era stato sottoposto, comandato da un altro uomo ch'aveva preso commiato prima di conferire con il giudicato; per via d'un offesa alla sua conoscenza portata dall'imputato, in quanto dichiarato aveva di non poter trarre ulteriore esperienza se dal solo globo non poteva uscire lo studio della scienza.
Il carro si mosse e gli animi si quietarono, durante il viaggio non c'è nemico in casa dell'errante e non c'è frusta che sferza schiena, siamo tutti ruota e conducente e non c'è burrone che possa dar vita a contraddicente.
Fuori dalle vetrate laterali, da cui la luce entrava intensa, era cambiato il paesaggio e non più ora il fumo civile s'addensa; prosperi alberi e verdi colline percorrevano il sentiero insieme ad i viaggiatori, lontani monti e bianchi cirri stupivano chi osservava allietando il senso degli ascoltatori sapienti nell'udir le parole di vuoto, nella natura che racconta luogo.
Ora il mare, ora la spiaggia, ora bosco ed ora foresta, ora cielo e domani stelle, ieri terra e nel presente fuoco che piacente riscalda il corpo dell'ospite rasserenato, dalla presenza della bella ch'ancor lo lascia privo di fiato.
- Qual'è quindi il vostro mestiere, se mi è concesso della domanda onore ed onere? - Le di lui parole a lei si rivolsero, con disinvoltura, timore e curiosità come tentazioni fossero.
- Non abbiate timore ed osservate - Rispose quella carezzandolo con mani fatate - Non c'è gioia e non c'è storia, senza che qualcuno provveda alla memoria... - Ciò detto portò le mani alle labbra, con eleganza ed il mistero soffiò sui delicati palmi, palpebre chiuse e gote accese, incanalando il vento nella forma incantata di un bianco giglio che tra filamenti lucenti e forme indistinte trovo sulla sua pelle appiglio.
Sbalordito il ragazzo tentennò e la mano di chi l'avea giudicato incontrò la sua spalla - Il viaggio è appena iniziato, e con esso il giglio t'abbaglia - Sorridendo con far rassicurante - Lascia alle spalle ciò che è stato, che tu sia studioso ed errante. Ivi il tempo non trascorre e come tale non c'è dissidio, guardala come ella guarda te... - E solo allora il giovane notò, scrutando molto attentamente, come nei di lei occhi or'aperti la sua stessa figura immane e quieta stesse dormendo tacitamente non riflettendo ma la di lei immagine specchiando.
- Cos'accade? - Chiedette a lei mentre il suo giglio s'alzava, coperto da un'aurora di del sole la luce, librandosi nell'aria che sola sa dove tutto conduce.
- Questo è il carro. - A rispondere fu il barista e non ci fu eccezione, in quanto le risposte degli altri ricordarono solo una sua emulazione - Non c'è viaggiatore senza viaggio, non c'è sogno senza arazzo. - Inspirando profondamente si versò del freddo assenzio, ardendolo poi con zucchero e fiamma, sorridendo con fare placido mai dal bicchiere straripò, nonostante del continuo versare il dramma faceva si ch'il ragazzo si chiedesse dove il liquido potesse andare - Tu ora, come lei... - Guardando la donna mentre altri gigli, provenienti da altri ospiti, si levavano verso il tetto... talmente alto da non poter essere scorto
- Solamente il tuo arazzo ora sei, te ne sei accorto? Mentre ancora dormi io posso saperlo... - Il suo sguardo voltò verso la donna - Spesso hai pensato di rivederlo... -
Lei annuì ed il profondo sguardo cadde verso il basso, mentre le labbra formavano felice arco, nel tempo in cui il carro divenne fermo come sasso.
Il giovane si guardò intorno, consapevole e certo che ciò che stava in quel momento vivendo non fosse altro che deserto. Ma non di sabbia o di realtà, a scapito di rea omertà, come invece di cristalli ed emozioni da cui nella vita scaturivano tutte le sue sensazioni.
- Tornate presto, Sir, ed abbiate di vuoi cura... - Continuò lei mentre quello stava scendendo - Ch'io proseguo salendo, scalando quell'altura. -
- Che separa uno dall'altro impedendo la ricongiunta. - Parlò il barista terminando la frase - Per un giorno potersi rivedere, atterrando di propria volontà su ciò che pria avreste considerato solo nel poterlo davanti a voi vedere. -
- Ne son certo, ci rincontreremo. - Rispose ello nel guardar la donna - Or che so dove sosta questo carro e che sia un posto ameno. - Nei di lui occhi la sua figura stanca si muoveva nel letto - Di tornare non potrò certo più farne a meno. - Le di lui dita s'intrecciarono con le di lei per via assennata, come a saluto per un eterno addio del di uno istante la durata.
Scese dal carro per poi risalire, l'orologio dimenticato sul tavolo riconsegnato dall'uomo che pria l'avea giudicato, ma la donna non c'era più e con sussulto egli riprese possesso del corpo.
La coscienza sorrideva mentre la solitaria alba dai tanti colli sorgeva.



Qui finisce questo racconto da cui deriva dalla mia volontà di provare un approccio diverso con un emozione, canonicamente, espressa in differente maniera.. Mi auguro di avervi regalato la stessa emozione che chi ha vissuto la vicenda ha me regalato, parole scritte su carta di chi per l'altro tutto ha donato.
Alla prossima storia.
Sean Foster

lunedì 15 aprile 2013

Il tessitore dal cappello a tesa larga P.3

Mi scuso con il lettore per la formattazione del testo, sto avendo dei problemi con blogspot ma ho comunque cercato di rendere la lettura il più agevole possibile.
Buona Continuazione

Sean Foster


Pioveva a dirotto e l'acqua gli scendeva dai capelli sulla punta del naso con la frequenza del ticchettio di un orologio impazzito, pronto ad imprimere nel tempo quanti più tocchi possibile senza limitarsi al marginale attimo. Tirava un vento gelido che pungendogli il volto con lunghi aghi ghiacciati fece si che il ragazzo perdesse l'equilibro sulla superficie della nave, lasciandolo scivolare sulla superficie liscia, tentando invano di rallentare l'inevitabile caduta. Le sue mani premevano contro il legno cercando di provocare attrito mentre l'imbarcazione ostentava coraggio sulle onde del furioso mare in tempesta. Fulmini abbagliavano il lontano orizzonte saettando contro i marosi come rovi irti di spine dietro cespugli di nubi grigie; le urla erano vane tanto quanto la forza, la sua voce si perdeva nell'immensità dei colori del caos. 

Il tessitore rideva all'impazzata sul parapetto destro della nave come indemoniato, aggrappato con una mano libera al legno mentre l'altra mano reggeva il sartiame delle mezze vele tirandolo con forza verso di lui.
Il cappello agitava le sue pieghe, sotto il ruggito del vento come  foglia tratta dai rami restando altresì ancorato ai folti capelli; nodi tra i venti, porti nella tempesta. Le casse di legno rotolavano su e giù come ansiose di scappare da quel cianotico inferno mentre l'iniquo vascello si prendeva gioco di loro, virando come fosse serpe impazzita e lasciandole perdute in un eterno limbo di sciagura. Prese la mira, chiuse gli occhi e si aggrappò a quello che sembrò essere, date le dimensioni, il duro albero maestro usando una ruvida corda che girò intorno al tronco finendo tra le mani del ragazzo. Sentì lo stomaco rivoltarsi e trattenne il respiro mentre la nave raggiungeva l'apice più alto del suo balzo, si inclinò di quarantacinque gradi per trafiggere come una spada l'acqua con la polena in un eterno secondo di mancato sospiro in cui il giovane quasi sentì la gola sollevarsi. Le onde lo travolsero ma egli eroicamente non ingoiò acqua trattenendo sì il respiro, sentì la spinta dell'acqua premere sotto di lui ed in meno di un battito di ciglia emersero in un'esplosione di spuma bianca.
Riaprì gli occhi e fece fatica a credere a ciò che la sua ragione gli dettava come impossibile: 
Abbassando lo sguardo spalancò la bocca e sgranò gli occhi, alzando le sopracciglia che arrivarono a formare due perfette parabole mentre vedeva la ricamata camicia bianca a sboffo entrare nei neri pantaloni larghi che, a loro volta, si infilavano dietro ai risvolti degli stivali in cuoio marrone.
Rialzò lo sguardo ed il tessitore si esibì in un formale inchino disegnando due archi e tenendo stretto il cappello; il contrasto creato dall'azzurro del cielo ed il nero dell'uomo era sconcertante.

Quello stesso cielo che poco prima fu luogo di tempesta era ora sereno, un cumulo di chiari nembi viaggiava solitario verso il mare aperto disperdendosi quindi nell'azzurro, guide dei bianchi gabbiani reali. Non c'era vento forte e le vele erano spiegate a favore lasciando che la polena puntasse contro quello che sembrava un lontano banco di nebbia.
Von Lichtenstein gli porse la mano guantata sorridendo, divertito sotto i folti baffi scuri - Alzati ragazzo, ci sarà tempo più tardi per riposarsi. - Lo aveva tirato su con uno strattone degno di un commilitone tirandogli via il guanto rosso dalla mano. Terrick si assestò per poi bloccarsi e sgranando gli occhi dietro gli occhiali soffermarsi sull'attimo precedente, pensò il necessario per rendersi conto del fatto che non era vestito come ricordava.
Il lucido fodero della spada pendeva dalla bandoliera in cuoio nero, faceva risaltare il brillante metallo dorato dell'arma che, catturando i raggi del sole, si rifletteva sul pomo della sua flintlock di scuro legno rossiccio pronta ad esplodere un colpo se estratta dalla cinta di pesante velluto carminio intrecciato. 

Sulle mani portava due gioielli argentati che gli cingevano le dita in una stretta di incisioni e bassorilievi.
- Lieto che tu sia soddisfatto dei tuoi abiti. - Annuì terminando la riverenza ed accennando con lo sguardo ad i bottoni dei suoi pantaloni, un sopracciglio inarcato.
Il biondino sgranò nuovamente gli occhi alzando gli occhiali sul naso e frettolosamente si girò dall'altra parte, abbottonando i pantaloni.
Quando si rigirò vide che l'uomo era concentrato sul grigio manto verso cui velocemente avanzavano, tra le mani teneva un binocolo telescopico bronzato con ingranaggi visibili come a far da perno ad ogni cilindro. I raggi del sole battevano contro la lente facendola scintillare puntando contro il parapetto ligneo della nave. Abbassò lo sguardo in una sorta di remoto istinto che gli aveva suggerito qualcosa di strano: l'acqua era liscia come l'olio e quasi piatta. Le onde emergevano basse ed invisibili dai solchi creati dal vascello quasi fossero degli spettri  opachi che come foschia si diffondono sulla superficie marittima, i suoni intorno a loro risultavano attuti come se qualcuno avesse improvvisamente abbassato il volume.
- Fai silenzio, ragazzo... - Hector gli aveva fatto cenno con il dito abbassandosi allo stesso tempo w lasciando che il ragazzo lo imitasse - Stiamo entrando nell'isola di rubino. -

- Che cos... - Terrick provò a parlare ma l'altro immediatamente gli tappò la bocca per poi tornare con lo sguardo attento oltre il parapetto - Non parlare... non è una bella zona. -
Passarono pochi minuti che parvero eterni per l'inquietudine che emanava il paesaggio: il mare era divenuto nero e cupo con sottili strie verdi sfumate che lo solcavano sulle creste delle deboli onde. Intorno a loro tutto divenne istantaneamente inglobato ad una fitta oscurità ed il ragazzo si ritrovò a stringere istintivamente l'impugnatura della salda e rincuorante spada. Erano entrati in una grotta completamente buia e potevano udire gli scricchiolii dell'albero della nave che batteva aritmicamente sul soffitto, il nero gli avvolse completamente lasciandoli privi del senso della profondità.
Una sottile luce iniziò a diffondersi come un puntino che si espande poco sopra l'orizzonte, scura e striata di colori ancora più scuri ma luminescente appariva di uno strano rosso misto al violaceo che variava d'intensità.

Chiuse gli occhi per non farsi travolgere da un flash di luce che quasi abbagliò il tessitore, quando gli riaprì rimase esterrefatto. 
Enormi rubini fuori uscivano dalle pareti di un'immensa caverna di cui non riusciva a vedere la fine, come foglie su di un albero talmente alto da non poter essere misurato.Il soffitto era lontano e da lì i i preziosi più grandi emanavano una luce rossastra e violacea, sembrava quasi che il viola ribollisse nello splendore del rosso rubino. Poteva quasi vedere attraverso le pietre tanto erano lucide e riflettenti, le uniche dominanti reali erano dati da fori sui lati che emanavano una luce opaca pronta a diffondersi sulle lievi increspature dell'acqua azzurra con tenui bagliori tiepidi. Il tessitore era cupo, le braccia conserte dietro la schiena e le spalle rigide mentre tra le mani sembrava tenere una sorta di oggetto: un medaglione forse.
- è sorprendente! - Aveva esclamato il ragazzo spalancando la bocca, stupito - è una vera isola con veri rubini! -
Hector si girò lentamente verso di lui e socchiuse gli occhi - Non pensare che sia fantastico, ragazzo. - Portò lo sguardo verso le pareti della grotta sentendo chiaramente qualcosa graffiare lo scafo della nave - Non è ciò che sembra... - La voce bassa e vagamente roca quasi risuonò nell'ambiente, il cappello gli oscurava metà del viso. 
- Che cos'è allora? - Si era stranito l'altro rimboccando automaticamente la camicia sulle braccia...
Si era sistemato i baffi sotto al naso cercando le parole necessarie ad esaudire il desiderio del ragazzo- Lì dentro giace chi è perito qui. - Inspirando profondamente e gonfiando il petto.

L'altro arricciò il naso e corrugò la fronte perplesso.
- I sognatori che sono morti qui giacciono dentro quelle pietre. - Trasse un altro profondo respiro guardando verso il basso, quasi intimorito ma riflessivo allo stesso tempo - Ribollono in quei cristalli e nel loro stesso sangue, le macchie viola che si espandono sono i loro corpi che si contorcono e vengono dilaniati. Abbaglia per via della luce costante interna, talmente forte da far bollire il sangue e chi c'è dentro. - Sputò nell'acqua e batté superstiziosamente i tacchi - Non c'è modo di farli uscire e loro non possono morire, una volta al mese il cielo diventa rosso ed allora noi possiamo udire le loro urla di dolore... - Strinse i denti.
- Ma non è questo che ci interessa. - Cambiando immediatamente discorso con la destrezza di un illusionista - ora noi siamo diretti dal poeta. -
Il ragazzo non aveva saputo come comportarsi tanto era rimasto imbarazzato per ever esultato di gioia ed intimorito allo stesso tempo,per cui aveva chiesto chi era il poeta con voce stizzita ed evitando di incrociare gli occhi del suo accompagnatore.
- L'uomo che può aiutarci, se non ha già problemi con gli incubi... - Continuando a guardare verso l'orizzonte - e forse una delle persone che più hanno sofferto questo cataclisima. -
L'altro aveva fatto un passo verso il parapetto stringendoci le mani intorno e facendo viaggiare lo sguardo verso il mare nella grotta, la fine era indistinta e coperta da una nebbia di un opaco viola scura e grigio - Suppongo che gli incubi non siano ciò che penso...-
- L'ossessione di un folle e la magia di un idiota... - Con ribrezzo - Uno ha reso reali gli incubi di ogni abitante e l'altro... - Strinse ancora più forte il medaglione tra le mani - Ha animato dei pezzi di ferro ed ha costruito dei soldati che girano con fucili ed asce, questo tizio non ha un potere reale ma ha scelto di appoggiare la parte sbagliata... -
- Dei soldati di ferro? -
L'uomo quasi rise - Già, sembrano una vera idiozia. - Era tornato serio - Bruciano i volti degli abitanti di queste terre e si appropriano della loro pelle per sembrare reali, hanno solamente le facce di ferro. -
Il biondino spalancò la bocca- E perché stiamo andando lì? - Spaventato facendo un balzo indietro verso il centro della nave.
L'uomo lo guardò sospirando e scosse la testa - Non è il peggio. - tolse il cappello lasciando liberi i capelli rivelando varie trecce, stringendo i denti accennò la mandibola verso sinistra quasi masticando pensieroso - Penso sia il caso tu ti sieda, ragazzo... - Rimise il medaglione della tasca - C'è qualcosa che devi sapere... -

martedì 19 febbraio 2013

Il tessitore dal cappello a tesa larga P.2

Inaspettatamente lo straniero si esibì in un formale inchino stringendo il cappello tra il pollice e l'indice delle mani coperte da guanti neri come la pece - Tu devi essere Terrick. - Aveva parlato improvvisamente con voce bassa ed il tono enigmatico degno del protagonista di un romanzo d'avventura. Il ragazzo annuì molto lentamente tirando le coperte verso il mento e cercando di contenere in un vaso di vetro i pensieri che si accatastavano l'uno sopra l'altro, volse lo sguardo verso sinistra e verso destra come a voler cercare qualche sorta di aiuto che probabilmente sapeva non sarebbe arrivato.
- Or bene... - Disse infine quello tirando indietro le spalle e facendole scrocchiare con sonora disinvoltura
 - Ti dispiace se mi siedo? - Si diresse verso il covo segreto del giovane prendendo una piccola sedia in inespressiva plastica rossa accanto ai libri.
Ora che quella bizzarra persona era vicino la candela i lineamenti del volto divennero abbastanza evidenti da permettere d'essere interpretati in una sorta di faccia: gli occhi erano piccoli e quasi sempre socchiusi sopra un naso comune che terminava sopra i baffi arricciati; i lineamenti del volto erano duri ma distinti e quella che sembrava un cicatrice solcava lo zigomo destro pronunciato come una piccola collina in una verde pianura cosparsa da sottilissima ricrescita di barba.
- Mh... - Mugugnò quello senza preoccuparsi di tenere la voce bassa - Speravo avessi buon gusto nell'arredamento - Guardando la sedia satinata e scuotendo i baffi sotto il naso mentre passava distrattamente l'indice sulla superficie ruvida del seggio - Evidentemente mi sbagliavo... - deluso.
Il ragazzo socchiuse gli occhi e tirò indietro la testa, stranito dall'affermazione dell'intruso - Quella sedia l'hanno scelta i miei genitori.- Si era giustificato con uno sprazzo di irritazione nel tono.
- Oh... - La reazione di quello fu disarmante quanto l'azione che seguì, si sedette infatti sulla sedia con poca delicatezza ed incrociò scompostamente le gambe una sopra l'altra facendo cadere sporche briciole di fango sul pavimento - In tal caso ti chiedo scusa... -
Terrick si fece coraggio e tirandosi indietro sul letto, senza tuttavia scoprirsi di neanche un millimetro, alzò il mento e repentinamente estrasse la piccola torcia da sotto il materasso accendendola e puntando il fascio di chiara luce volumetrica contro l'invasore, che infastidito si riparò gli occhi con entrambi i palmi delle mani
- Caro signore mio... - Parlò il giovane avendo cura di scandire ogni parola con il coraggio dettato dall'arroganza della gioventù e dal fascio abbagliante - Spero lei sappia che questa è quella che io chiamo un'effrazione e che è punibile dalla legge in quanto reato perseguibile con... -
- Bla, bla,bla... - Lo aveva interrotto quello mimando con la mano sinistra una nera bocca che inesorabile continua a blaterare - Conosco la vostra legge. - Schioccò le dita in un muto rumore che inaspettatamente rimbombò tra le mura della stanza come una eco soffocando la fonte della luce che in meno di un secondo si spense, lasciando tuttavia la candela accesa - E non mi riguarda - Finì.
Il ragazzo spalancò gli occhi e tutta la sicurezza che aveva accumulato per parlare di fronte a quell'uomo svanì in un istante come la polvere esposta all'impetuoso vento autunnale.
Quello tirò su con il naso, inspirò profondamente e premendo le mani contro le cosce coperte da pantaloni in pelle si tirò su ergendosi in tutta la sua altezza, che superava il ragazzo di almeno tre piedi - Io mi chiamo Hector Von Lichtenstein - spolverandosi la mantella e sistemando la bandoliera sul prominente petto facendo muovere qualcosa dietro la sopravveste che formò una sorta di lunga punta adombrata dietro di lui; era coperto da quella sembrava una camicia bianca e solo ora poté vedere che portava stivali che lo coprivano fin'oltre il ginocchio terminando in un lungo risvolto decorato in probabili fili d'argento
- E sono un tessitore... - Finì di presentarsi. La mancanza degli occhiali non aiutava di certo il ragazzo a distinguere i particolari della figura ma nel complesso non gli sembrava affatto un sarto - Eh? - Fu tutto quello che la mente di Terrick riuscì ad elaborare nel tornado delle troppe parole che in quel momento si accatastavano l'una sull'altra, come la spuma del mare in balia delle alte onde che creano una confusa risacca pronta a riemergere in differente forma.
Quello estrasse qualcosa dalla tasca e portò la mano alla bocca, aggrottando la fronte nel guardare il bambino di undici anni ed iniziando a masticare a bocca chiusa con aria poco convinta - Tu sei Terrick Johnson, vero? -
- Perché? - Immediato quanto allarmato dal fatto che lo sconosciuto sapesse il suo nome.
- Oh, ragazzo mio... - Sospirò l'indesiderato ospite scuotendo la testa e lasciando vagamente svolazzare i lunghi capelli - Non chiederti mai perché, ma chiediti: perché no? - Con apprensione.
Il biondo non sapeva cosa dire ne tanto meno su cosa riflettere, era talmente confuso che se in quel momento la zia fosse entrata in stanza probabilmente l'avrebbe scambiata per un allucinazione visiva - Che... - Schioccò la lingua sul palato - Cosa... - elaborando quella che sarebbe potuta essere una domanda - Sei tedesco? - Ci fu un lunghissimo, eterno, istante di assordante silenzio.
L'uomo si avvicinò al letto ed il ragazzo si tirò ancora più indietro sfregando i piedi contro le lenzuola azzurro cielo e cercando freneticamente di riaccendere la torcia, ma non gridò
- Di tante domande che potevi farmi... - Lo straniero si chinò quindi sulle ginocchia proiettando la lunga ombra contro il muro coperto da carta da parati verde bosco, come se chinandosi si fosse allo stesso tempo innalzato in una bivalenza incomprensibilmente forte - Hai scelto la seconda più razionale. - Annuendo lentamente e mordendo il pallido labbro inferiori con i denti bianchi creando un sottile solco nella carne liscia
 - Forse è questo che dovresti chiederti, perché le domande sono sempre razionali? -
- Perché servono per spiegare le cose? - Aveva improvvisato l'altro guardando verso il vetro trasparente della finestra accostata ed ipotizzando in una manciata di secondi qualche dozzina di vie di fuga.
- Ed allora perché non mi hai chiesto il motivo della mia presenza qui? -
Terrick lo guardò negli occhi, scuri oceani immobili mostranti le profondità più remote dei grandi abissi, considerando che effettivamente quella domanda non gli era neanche lontanamente balenata in testa
 - Perché se... -

- Qualche settimana fa hai fortemente pensato di vivere un'avventura, o sbaglio? - Sorridendo con scaltrezza sotto i baffi che intanto arricciava enigmaticamente con le mani guantate in un impercettibile sfrigolio.
Il biondo abbassò pensierosamente gli occhi e socchiuse le palpebre cercando di ricordare - Si... - rammentò quasi come un distante sogno - E tu... - Effettivamente la settimana precedente aveva appena finito di leggere l'ennesimo romanzo fantastico ed in un momento di grigia solitudine, guardando fuori dalla finestra lo smog che si accalcava contro le strutture come il fango ai margini di una strada, aveva chiuso gli occhi ed immaginato di essere da un'altra parte arrivando quasi a sentire il tocco del vento ed il profumo di terra umida.
- I tuoi pensieri erano abbastanza confusi e non ti nego che ci è voluto un po' per interpretarli... - L'uomo continuando a sorridere con contagiosa sicurezza.
- E tu... -
- Ed io sono qui per far del tuo desiderio una forma concreta d'esperienza. - Si alzò ed inspirando profondamente sembrò gonfiare il petto - Mi ripresento - stavolta tolse il cappello a tesa larga ed inchinandosi alcune ciocche dei setosi capelli corvini gli caddero davanti al volto pallido - Sono  Hector Von Lichtenstein, un tessitore... - S'interruppe per rimettersi il cappello e guardarlo socchiudendo l'occhio sinistro come a voler anticipare qualcosa di già noto - Tedesco della fine del sedicesimo secolo... -
Il ragazzo spalancò la bocca sconvolto - Com'è possibile? - Cominciò a gesticolare ergendo la schiena ma rimanendo seduto - Non può essere vero, avresti più di duecento anni. -  Aggrottò la fronte - Devi essere pazzo... - Riflettendo ad alta voce.
Il tessitore si massaggiò stancamente le tempie con entrambi le mani e sbuffò - Riuscirei a fare questo se non fossi chi dico di essere? - Batté le mani e riaprendole si creò nel mezzo una sorta di piccola circonferenza evanescente e luminosamente abbagliante che raffigurava un'isola in movimento, il cielo era azzurro splendente ed un veliero dalle bianche vele stava salpando da un porto in legno davanti ad una città fatta interamente di bianco marmo luccicante.
- Come hai fatto!? - Sbottò il ragazzo quasi urlando e mettendosi subito le mani davanti la bocca rimproverandosi per aver alzato troppo il tono di voce.
- Non preoccuparti per tua zia... - Continuò l'altro chiudendo le mani e lasciando sparire il portale avendo intuito la questione - Non si sveglierà, sta dormendo profondamente sognando di vincere il mestolo d'oro che tanto ambisce al concorso di cucina. -
- E tu come lo sai? -
- Ce l'ho portata io - Ammiccò con fare complice.

Hector tirò quindi indietro le spalle e girò la testa da entrambi lati inclinandola all'indietro facendo scrocchiare il collo - Dunque... - Si avvicinò  al comodino dove la fiamma della candela danzava mossa dal lieve vento che entrava dalla finestra accostata e prese gli occhiali da vista del ragazzo - Metti questi, ti serviranno... -
porgendoglieli.
Terrick indossò gli occhiali da vista ma nonostante ora fosse tutto più a fuoco continuava ad avere difficoltà nel distinguere pienamente la figura, adesso che ci faceva caso sembrava in un certo tal modo immateriale e sbiadita... come se disegnata sul vetro con colori opachi e spenti od attraverso il fumo.
Il tessitore prese un libro dalla pila che stava sotto il comò del giovane, aveva la copertina rigida in cartone rosso cui era stata tolta la sovraccoperta e le pagine erano state rilegate in inespressiva brossura 

- Squallido... - Aveva notato con velato disdegno, il tedesco - Speriamo che il contenuto non sia come la copertina, vero? - Girandosi verso il giovane che strinse gli occhi ed alzandosi dal letto si diresse verso lo sfregiato con passo pesante e determinato facendo rimbombare, seppur in maniera molto attutita, il suono dei suoi passi nella stanza come il battito del cuore nel petto - è un gran bel libro. - Fece per prenderlo ma Von Lichtenstein scansò la mano all'ultimo allargando il suo sorriso - Allora faremo bene ad usarlo. - Lo aprì di scatto arrivando esattamente a metà del volume facendo battere la copertina contro la mano libera
- Preparati... -
- Per cosa? - Aveva domandato il ragazzino allibito e maledettamente eccitato allo stesso tempo.
- Come per cosa? - Lo guardò perplesso e stupito allo stesso tempo il suo compagno - Per partire, no? -
- Entriamo in quel libro? -
- Assolutamente no...  sono un tessitore, non ho bisogno di una storia già scritta ma di uno strumento che contenga abbastanza fantasia da permetterci di passare il portale. -
- Quale portale? -
- Lo vedrai... - Mettendogli una mano sulla piccola spalla - Preparati a partire, ragazzo. -
- Ma... - Si guardò il pigiama con le bacchette magiche ed allargò le braccia - Non sono vestito e... - alzò un piede guardando la rosea pianta nuda - Non ho neanche le scarpe. -
L'altro rise di gusto - Questo non è un problema. - Mise la mano sotto il cappotto e con un sibilo metallico tirò fuori un lungo e spesso ago alto quasi quanto lui da dentro il cappotto; l'elsa simile ad una spada che conosceva con il nome di rapiero, completamente argentata formata da un'intricata ed elegantissima rete di nodi che luccicavano alla luce della candela sognante come il letto di un fiume sotto il sole raggiante, rendeva quell'ago degno di un'epica saga di fantasia. Sulla larga fessura per il filo c'era una fascia di cuoio arrotolata che fungeva da impugnatura e lì era stretto il determinato pugno nero del suo nuovo amico - Dove stiamo andando non c'è bisogno di prepararsi, sarai tu a decidere come sarai vestito quando saremo arrivati... -
Alzò la spada ago verso il soffitto e lanciò il libro in alto
- Aspett... - Il cuore del ragazzo fremeva per l'eccitazione, non si era mai sentito così estasiato e la paura non raggiungeva neanche marginalmente l'ansia di provare una nuova avventura.
Il libro toccò l'apice della curvatura e con un fendente il tessitore lo attraversò come fosse stato di semplice burro, ci fu un lampo di luce abbagliante, il ragazzo si riparò con le mani e si sentì attratto verso un qualcosa di enormemente grande che lo sbalordì a tal punto da farlo urlare; un forte frastuono aveva pervaso i suoi timpani come quello di un mare in tempesta, i gabbiani stridevano quasi muti e si sentiva come fosse stato dentro ad un'onda. Lui stesso era un'onda. Aveva freddo e caldo allo stesso tempo, sentiva in bocca il sapore del sale. La luce si fece più forte ed ebbe la sensazione di volare in un mondo che da sempre aspettava di vedere, tra le risate di trionfo del tessitore.
Il libro cadde sul pavimento e si richiuse in un tonfo sordo, dalla finestrella accostata entrava un flebile sospiro d'aria che muoveva la stria di fumo della candela ora spenta. La camera era buia e silenziosa, il letto disfatto ed il gattino... non era più lì.
Una stella nuova brillava alta nel cielo ed in lontananza si poteva distinguere quello che sembrava il fruscio delle lontane foglie d'autunno portate dai venti dell'est.


sabato 16 febbraio 2013

- Il tessitore dal cappello a tesa larga P.1 -



La neve cadeva leggera e sottile depositandosi  con leggerezza sul prato d'erba rada, come un sottile drappo di seta si adagerebbe con velata delicatezza su di un chiaro divano di piume.
La morbida e tiepida luce della fiamma danzante sulla bianca candela in cera si rifletteva sulle fredde vetrate della finestra in tanti puntini luminosi contenenti, all'interno, luminose galassie di luce. L'escursione termica tra la stanza ed il giardino esterno si materializzava sotto forma di vapore, appannando il vetro sottile e rendendo il paesaggio esterno un misterioso ritratto in toni di fumo interpretabile dalla fantasia dell'ignaro spettatore che, come un accordo di pianoforte evoca immagini dalle più remote realtà, immagina di viaggiare per oscure foreste celanti passaggi per i più lunghi ed ardenti sogni.
Vari sentieri offuscati dalla nebbia delle utopie s'intrecciavano come fili di seta annodati tra loro nella mente del giovane Terick, i suoi occhi azzurri fissavano l'esterno come incantati facendo viaggiare la fantasia verso i più distanti lidi. Sospirò e si strinse nel piumone sprofondando il viso contro il cuscino che profumava di lavanda per poi sbadigliare e tirarsi indietro i corti capelli biondi. Guardò la sua tonda sveglia in metallo rosso, segnava le undici e cinquantasette, si girò verso Dernem, il nuovo arrivato, che dormiva profondamente sbattendo ripetutamente le palpebre assorto nei suoi sogni di corse.
Tirò fuori un po d'aria per l'assenza di sonno e stringendo tra le braccia  'Draghi ed antiche storie' , il suo nuovo libro di racconti portatogli dal papà di ritorno da una città dell'Europa, si alzò dal letto per spegnere la cornice digitale che ritraeva un ritratto montano e poi dirigersi verso la cesta del suo gatto - Buonanotte, Dermen - Disse facendogli una carezza sulla testolina nera, gentilezza che il gattino ricambiò con qualche fusa per poi mettersi a pancia all'aria e continuare a dormire. Si affacciò alla finestra della sua cameretta, aprì la finestra e girando la fredda chiave di metallo nella sottile inferriata, avendo cura di non fare rumore, si sporse di quel tanto che bastava per sentire il lieve respiro del vento sfiorargli le guance. Trentasette piani sotto di lui scorrevano veloci le macchine che viaggiavano inesorabili attraverso New York lasciando rosse e bianche scie fluorescenti nel buio, come lunghe fiammate dirette da un preciso intento. 
Davanti a lui, la luce della stanza da letto di Darleen era spenta e la vetrata esterna rifletteva solamente altre lastre di inespressivo cemento a copertura delle tante strutture che in quella via si accalcavano le une sulle altre, in un atono paesaggio di tanti palazzi che gareggiavano in altezza come molte stalagmiti sbiadite.
Inspirò profondamente l'aria esterna immaginando un folto bosco e trattenendo il respiro rientrò nella sua cameretta, richiuse velocemente la finestra ed espirò stancamente alzando gli occhi al cielo.
Scosse la testa cercando invano di sopprimere uno sbadiglio che subito andò incontrare la sua mano destra.
Mosse qualche passo sul parquet di chiaro noce fino ad arrivare al suo comodino in legno dove la candela ancora brillava al buio, la fiamma riflessa dai sottili occhiali dalla montatura tonda ed ottonata ricordava una lanterna ad olio delle storie di Stevenson, soffiò sulla candela facendola vibrare finché il fuoco non si estinse in una sottile stria di fumo. Poggiò il libro che stringeva tra le braccia nel suo piccolo angolino d'avventura, sotto al comodino, dove già una pila di altri sedici libri gli tenevano compagnia durante le notti insonni.
Sospirò nuovamente, si stirò addosso il pigiama bianco con su disegnati corvi e bacchette magiche, si toccò la fronte per verificare se avesse l'alterazione ed infine si mise nuovamente sotto le coperte.
Quando i genitori erano fuori casa per lavoro e la zia veniva ad accudirlo da Washington lui si permetteva di sostituire una candela alla lampada da notte, il parente dormiva talmente profondamente che il suo russare scuoteva le fondamenta della terra e quindi non si sarebbe svegliato neanche in caso di disastro atomico.
Sentì un brivido percorrergli il lato destro del collo, ci mise la mano serrando le dita come a copertura ed arricciando il naso tirò il piumone ancora più su.
Dopo circa dieci minuti sentì che stava per cadere tra le braccia del sonno, reduce di oltre cento pagine di romanzo fantastico lette,  quando un rumore metallico lo destò dal suo mondo incantato che lentamente stava apparendo al posto del buio. Girò istantaneamente la testa verso la finestra e vide che l'inferriata era aperta.
Si rigirò preoccupato e con il fiato corto sporgendo la mano dal letto cercò la torcia dinamo sotto al materasso, sentì il cuore mancargli di un battito e si paralizzò completamente spiazzato fissando gli occhi su di una figura, con un grande cappello a tesa larga sulla testa, avvolto da una pesante mantella con una copertura sulle spalle sotto i lunghi capelli corvini. Davanti sembrava avere una di quelle bandoliere che indossavano i pirati ed appena celata dal grosso cappotto c'era una cosa che sporgeva, sembrava colorata di bronzo...
una pistola del XVIII secolo che il giovane Terrick conosceva con il nome di Flinlock.
L'uomo sembrò sorridere sotto i lunghi baffi corvini, arricciati alle punte, che quasi coprivano il corto pizzetto.

venerdì 15 febbraio 2013

Attesa

Avrei già voluto pubblicare una nuova storia ma mi trovo in una particolare fase del mio "lavoro" di scrittore che mi vede in contatto con una casa editrice ed altre singolari questioni dello stesso tipo.
Farò il possibile per concedere a questo blog l'esclusiva su miei ulteriori racconti, aggiornandolo e continuando a stendere in digitale le parole che nella mia mente formano una narrazione, ma penso che per almeno questa settimana non riuscirò a postare nulla di realmente concreto.
In compenso sono ben lieto di pensare che, se tutto andrà come previsto, forse riuscirò a vedere una delle mie storie diffusa da chi è più competente di me in temi di mercato.
Nonostante tutto non è forse a questo che servono le storie?
Essere ascoltate, lette e poi diffuse da chi ha provato qualcosa leggendo quelle righe che qualcun'altro ha immaginato, scegliendo di condividerle con chi vuol viverle.

A presto.
Sean Foster.